Fusi del sonno e consolidamento di
memorie deboli
DIANE
RICHMOND
NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 27 marzo
2021.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Trascorriamo
dormendo circa un terzo della nostra vita e sappiamo che lo stato che segue la
veglia alla fine di ogni giorno interessa tutte le funzioni dell’organismo, dalla
regolazione dei livelli di ormoni, del tono muscolare e del ritmo respiratorio fino
alla riorganizzazione dei processi cognitivi di memoria, apprendimento e
pensiero.
Anche se
per secoli si è dibattuto sulla funzione del sonno e ancora molti ricercatori
dichiarano che non è noto il ruolo biologico della necessità di dormire –
semplicemente perché continuano a cercare una ragione unica – ormai credo che
molti condividano la tesi sostenuta da decenni dal nostro presidente: “Chiedersi
quale sia la funzione del sonno equivale a chiedersi quale sia la funzione
della veglia: è una domanda mal posta, perché è evidente che la vita animale è
fisiologicamente organizzata sulla base del ritmo nictemerale del pianeta e che
tutti gli equilibri di tutti i sistemi dell’organismo si sono tarati nel
corso dell’evoluzione su un regime di elevata attività con la luce del sole e
di bassa attività in assenza di luce. La privazione di sonno non è compatibile
con la vita e l’insonnia protratta determina scompensi cerebrali,
neuroendocrini, neurovegetativi e immunologici di entità rilevante […] i
processi di regolazione dell’attività delle reti neuroniche cerebrali implicate
nei processi cognitivi che avvengono durante il sonno sono di fondamentale
importanza, non solo per il consolidamento delle memorie, ma anche per l’efficienza
della funzione psichica di base attuale”[1].
I rapporti
fra sonno e memoria costituiscono un campo di intensa attività investigativa da
più di vent’anni, tanto interessante e utile da approfondire per la
comprensione di molti aspetti della fisiologia cerebrale, che la nostra società
scientifica in un breve lasso di tempo ha dedicato due aggiornamenti dal titolo
“Sonno e Memoria” e “Memoria e Sonno”, presentati da due saggi introduttivi[2], che è opportuno leggere perché rimangono ancora di
assoluta attualità nei contenuti.
Recentemente,
il ruolo cruciale del sonno per il consolidamento mnemonico è stato esplorato
al fine di comprendere i criteri seguiti dalle reti cerebrali attive mentre
dormiamo per selezionare le rappresentazioni sinaptiche da rinforzare e
consolidare in sede corticale. Non tutte le prove sperimentali raccolte
consentono un orientamento univoco nell’interpretazione dei principi in base ai
quali sono decise le priorità; tuttavia, sembra non vi siano dubbi circa l’esistenza
di criteri sistematici di scelta per il consolidamento. La forza iniziale
di una memoria si ritiene costituisca una condizione limite importante
nel determinare quali memorie siano consolidate durante il sonno.
Per indagare
questi aspetti, Dan Denis e colleghi coordinati da Robert Stickgold
hanno studiato per la prima volta il ruolo delle oscillazioni medianti il
consolidamento, quali i fusi del sonno e le oscillazioni lente, ottenendo risultati
di notevole interesse.
(Denis D.,
et al. Sleep
spindles preferentially consolidate weakly encoded memories. Journal of Neurosciences – Epub ahead of print doi: 10.1523/JNEUROSCI.0818-20.2021, 2021).
La provenienza degli autori è la seguente: Department
of Psychiatry, Harvard Medical School, Boston, MA (USA); Department of Psychiatry,
Massachusetts General Hospital, Charlestown, MA (USA); Department of Psychiatry,
Beth Israel Deaconess Medical Center, Boston, MA (USA); Department of
Psychology, University of Notre Dame, Notre Dame, IN (Francia); Department of
Psychology, Boston College, Boston, MA (USA).
Da più di
mezzo secolo lo studio del sonno è prevalentemente basato sul rilievo
elettroencefalografico (EEGrafico) dell’attività corticale
dall’esterno del cranio di volontari addormentati.
Come è
noto, il sonno è suddiviso in 5 stadi corrispondenti a differenti e
caratteristiche fasi elettroencefalografiche. Gli stadi 1-4 corrispondono al sonno
non-REM o NREM, e lo stadio 5 è quello caratterizzato dai rapidi movimenti dei
globi oculari, ossia REM (rapid eye movement), un tempo
ritenuta l’unica fase durante la quale si sviluppano sogni. Lo stadio 1
è considerato una fase di passaggio dalla veglia al sonno, in cui la prima ha
perso la completa vigilanza, ma il secondo ancora non si è ancora istaurato; l’EEG
fa registrare un decremento dell’attività di alta frequenza tipica del cervello
dei soggetti svegli.
Lo stadio
2 è il primo vero stadio del sonno, contraddistinto all’EEG dai fusi del
sonno, ossia onde di 7-15 Hz di frequenza per una durata di 1-2 secondi, e dai
complessi K. Le onde dei fusi e i complessi K riflettono oscillazioni lente e
sincronizzate di attività neuronica e sinaptica all’interno del talamo e della
corteccia cerebrale. Questo stadio è il risultato della generale iperpolarizzazione
dei neuroni e delle reti neuroniche che seguono la graduale inattivazione dei
meccanismi cerebrali di risveglio. Durante lo stadio 2 del sonno il tono
muscolare decresce e gli occhi lentamente ruotano dietro e avanti. La
respirazione diventa più lenta e regolare e la temperatura del corpo comincia a
calare.
Lo stadio
3 è annunciato nell’EEG dalla comparsa di una significativa quota di
oscillazioni nella frequenza delle onde delta (0,5-4 Hz). Queste onde
segnalano un’ulteriore riduzione nei processi cerebrali legati al risveglio e
un’accresciuta sincronizzazione dell’attività corticale e talamica. Un predominio
di onde delta (> 50% del tempo nell’EEG) indica che la persona è nello stadio
4 del sonno, il più profondo di tutti. Durante gli stadi 3 e 4 la
respirazione continua ad essere lenta e regolare, la frequenza cardiaca
rallenta, i muscoli si rilassano e la temperatura continua lentamente e
lievemente a decrescere.
Il
passaggio dalla veglia allo stadio 4 del sonno all’inizio della notte si
verifica in tempi brevi, generalmente entro i 30 minuti. Dopo circa altri 30
minuti, trascorsi tutti nella fase 4, il dormiente risale rapidamente tutti gli
stadi, ma a questo punto non giunge al risveglio ma entra nel tipico stadio
REM, una fase studiata per decenni per i suoi sogni vividi, fantastici e
talvolta profondamente suggestivi. Questa fase, scoperta nel 1953 da Eugene Aserinsky e Nathaniel Kleitman,
che registrarono per primi EOG e EEG contemporaneamente in adulti addormentati,
è così fortemente caratterizzante che il sonno è generalmente distinto in REM e
non-REM (NREM). Le persone risvegliate durante la fase REM riportano di essere
immerse in un’esperienza onirica vivida – e talvolta lucida[3] – nell’80-95% dei casi. È interessante notare che
durante questo stadio si ha una perdita quasi completa del tono muscolare per l’inibizione
dei motoneuroni spinali da parte delle vie discendenti, mentre i motoneuroni del
tronco encefalico che controllano il movimento degli occhi non sono inibiti,
consentendo le rapide escursioni dei globi oculari tipiche dello stadio 5.
Se si
considera la grande quantità di informazione che codifichiamo ogni giorno, è
lecito porsi la domanda: come fa il cervello a scegliere selettivamente quali
memorie sottoporre ai processi che le renderanno consolidate per una lunga
durata? Il sonno interviene giocando un ruolo importante nel consolidamento di
quanto è stato rilevato, registrato o appreso, seguendo criteri di priorità che
sono attualmente al vaglio sperimentale. I risultati dello studio che qui
recensiamo indicano che, paragonando il cervello del dormiente a quello di chi
veglia, i processi che avvengono nel sonno sembrano preferire l’informazione
codificata in maniera più debole.
Se questo
è vero, possiamo dedurre che il sonno aiuti ad attenuare la dimenticanza delle
tracce di memoria deboli[4].
Robert Stickgold, Dan Denis e gli altri del team, hanno
reclutato un campione costituito complessivamente da 54 volontari, 41 donne e 13
uomini, e lo hanno sottoposto a un compito di apprendimento di coppie di parole
a 3 distinti livelli di forza di codificazione. Lo studio sperimentale
ha previsto il test della prestazione di rievocazione di tutte le coppie
di parole da parte dei 54 partecipanti subito dopo la sessione di apprendimento,
e un re-test a sei ore di distanza. Ai volontari è stata data la
possibilità di fare un pisolino di due ore subito dopo l’apprendimento: 36
hanno aderito alla proposta di dormire, mentre gli altri 18 hanno scelto di rimanere
svegli durante tutto il tempo dello studio.
I risultati
mostrano in maniera evidente che, rimanendo svegli durante tutto il periodo di
sei ore seguenti l’esercizio attuato per ricordare, le memorie codificate più
debolmente si sono deteriorate più in fretta. I 36 volontari che hanno
effettuato il sonnellino[5] non hanno presentato la rapida compromissione delle
memorie deboli e il loro consolidamento era associato con la rapida densità dei
fusi del sonno durante le fasi NREM. Inoltre, i fusi del sonno che erano
accoppiati alle oscillazioni lente consentivano di prevedere il consolidamento
di memorie deboli, indipendentemente dai fusi del sonno non accoppiati. Queste
relazioni sono risultate specifiche per gli elementi codificati debolmente,
con fusi non correlati né con memorie a codifica forte, né con memorie di forza
intermedia.
Da questi
dati si può dedurre che i fusi del sonno facilitano il consolidamento mnemonico,
guidato in parte dall’entità o forza del consolidamento della traccia.
Gli autori
dello studio sintetizzano così il senso dei risultati: “I fusi rapidi del sonno,
un contrassegno distintivo del sonno NREM, mediano i processi di consolidamento
mnemonico e noi abbiamo esteso questo per dimostrare che i fusi rapidi erano specificamente
associati al consolidamento di memorie debolmente codificate. Questo fornisce
nuova evidenza del consolidamento preferenzialmente basato sul sonno e delucida
un correlato fisiologico di questo beneficio”[6].
L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Diane Richmond
BM&L-27 marzo 2021
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2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Giuseppe Perrella, Relazione per
l’aggiornamento “Sonno e Memoria” del 5 aprile 2007, BM&L-Italia, Firenze
2007.
[2] Pubblicati nella sezione “Aggiornamenti” del sito.
[3] Si vedano gli scritti sui sogni
lucidi di Stephen LaBerge (fondatore del “Lucidity Institute”) e le nostre discussioni al riguardo. LaBerge e i suoi collaboratori hanno sviluppato e insegnato
tecniche per rimanere lucidi durante i sogni.
[4] Su questa ipotesi (tale era in
passato) si basava l’importanza attribuita al sonno per l’apprendimento di un
gran numero di nozioni in un tempo limitato, come accade nella preparazione di
importanti esami universitari.
[5] Ricordiamo che la pratica
empirica di dormire brevemente (nap) fra un
compito cognitivo e l’altro durante il giorno era costume di Thomas Alva Edison,
considerato il più grande inventore di tutti i tempi, con i suoi oltre 500
brevetti.
[6] Traduzione letterale dell’autore
del testo dall’Abstract della versione “Epub ahead
of print” dell’articolo originale.